Curiosità su Antas

La valle di Antas è incastonata al centro di un bellissimo anfiteatro naturale dove sorge il tempio romano unico nel suo genere in Sardegna.

L’importanza del sito Archeologico è data indubbiamente dalle vestigia del luogo di culto romano, ma ripercorrendone la storia ritroviamo le testimonianze di un villaggio nuragico che, attesta la presenza di questa straordinaria civiltà già dall’età del bronzo. Furono i nuragici ad utilizzare per primi la valle come luogo sacro con le sepolture ad incinerazione, sono state rinvenute inoltre tre tombe a pozzetto dell’età del ferro (tardo periodo nuragico), con una tipologia funeraria di estremo interesse in quanto richiama pochi altri esempi in Sardegna. Tra i reperti rinvenuti ricordiamo vaghi di collana in oro, pendagli, un anello, un vaso d’argento completamente ricoperto in oro e una statuina in bronzo che potrebbe rappresentare la più antica raffigurazione del Sardus Pater Babai.

Al di sotto della gradinata d’accesso al Tempio Romano sono visibili i resti del luogo di culto cartaginese (500 a.C.), innalzato in onore della divinità punica Sid Addir Babay che personificava il dio indigeno venerato nel vicino santuario nuragico. Nel sacello è stata ritrovata una nutrita serie di iscrizioni dedicatorie che costituiscono un patrimonio senza confronti rispetto a qualsiasi colonia punica di tutto l’occidente.

Il famoso Tempio romano, citato dal celebre geografo egiziano Tolomeo (II sec d.C.), risale al I secolo a.C.; fu più volte rinnovato fino ad arrivare al grande restauro testimoniato dall’iscrizione situata sulla parte sommitale dell’edificio che, conferma la collocazione cronologica al III secolo d.C. e l ‘adorazione del Dio Sardus Pater Babai.

Dalla valle in 20 minuti di cammino si raggiungono le cave romane, dove sono ben visibili tra la roccia calcarea, le linee di taglio dei grossi massi utilizzati per la realizzazione del santuario.

Inoltre, l’antica strada romana per chi ama le lunghe camminate (circa 1 ora) che conduce da Antas a Su Mannau: le genti che vivevano in questi luoghi raggiungevano la grotta omonima per praticarvi il culto delle acque, come testimoniano i resti di lucerne ad olio e navicelle votive.

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